Parlare del Cacciucco trovo che sia, almeno per me, un’impresa ardua. Sono stati scritti innumerevoli libri da grandi esperti della gastronomia ed è stato addirittura redatto un Disciplinare grazie al quale, questa zuppa di mare costituita da diverse tipologie di pescato, viene tutelata da una miriade di interpretazioni che la allontanerebbero dalla tradizione.
Anche il grande Pellegrino Artusi inserisce questo piatto nel suo libro “La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene” facendo entrare questo piatto, che ho denominato erroneamente zuppa, nella letteratura. Più che una zuppa è un umido, in quanto il sugo ristretto e denso, viene adoperato solo per bagnare le fette del pane abbrustolito e “strusciato” con l’aglio.
Faccio questa premessa perché, per non ripetere cose già dette e scritte con dovizia di particolari da esperti professionisti della materia culinaria, ho deciso di affrontare l’argomento solo ed esclusivamente da un punto di vista sentimentale ed aggiungerei… un po’ nostalgico. Devo anche riconoscere che ho ben cinque ragioni valide per farlo, così come devono essere rigorosamente le 5C del Cacciucco. Primo è il mio piatto preferito. Secondo è il piatto preferito del mio assistente e devo dire che visto il lavoro che c’è dietro, preparato da me lo mangia giusto una volta l’anno. Terzo il cacciucco è legato in maniera indissolubile al ricordo dei miei nonni. Fa infatti parte della scelta della mia memoria, abbastanza allenata ma molto selettiva, dimenticare i ricordi difficili dell’infanzia e recuperare quelli piacevoli.
Quarto la mia “livornesità”, che mi dà il diritto di parlare del piatto che per la città è una vera istituzione, è certificata in quanto sono nata e dopo tre giorni battezzata dai frati nella Cappella della Clinica Villa Tirrena. I frati, oltre a somministrarmi il sacramento, fecero anche desistere il mio giovane padre, appassionato dei primi viaggi nello spazio, dal chiamarmi Yury, nome prettamente maschile….e meno male non gli venne in mente Laika! Quinto io amo Livorno; passeggiare nel quartiere Venezia mi rilassa e vorrei trascorrere la mia vecchiaia abitando sul lungomare e, dato che sognare è una delle poche cose che sono rimaste gratis, vorrei una delle tredici villette in quel meraviglioso complesso Neoclassico che sono i Casini di Ardenza, visto che ci siamo in quella centrale. Tornando sull’intenzione di parlare del cacciucco dal punto di vista sentimentale mi viene in mente una frase di Lèvi -Strauss: ”Unico fra gli animali l’uomo vuole che il suo cibo non sia solo buono da mangiare ma vuole che sia buono da pensare”.
Con il cacciucco il pensiero va immediatamente a mia nonna intenta a cucinare il pesce avanzato dalla pesca della sera precedente che mio nonno ed il suo amico Arcangelo non erano riusciti a vendere. Quasi sempre si trattava di pesci di piccola taglia, i meno richiesti. Quindi posso dire a ragion veduta che la ricetta non era mai uguale, ma pur sempre di una bontà stratosferica, perché da ciò che viene superficialmente considerato scarto può nascere molto spesso un piatto eccezionale. La nonna passava ore ed ore in cucina e la lasciava solo per venire a preparare la tavola e per me non c’era niente di meglio che guardarla da lontano, perché quello era il suo regno e lei la regina…niente sudditi intorno. Guardavo le sue mani con le dita nodose e le vene in rilievo muoversi con maestria, quasi un ballo dai passi conosciuti. In un tegame largo metteva olio (pochissimo secondo i suoi standard), aglio e salvia a soffriggere, puliva e preparava i pesci da minestra e li faceva cuocere fino a disfarli, dopo aver aggiunto la passata di pomodoro rigorosamente fatta in casa contenuta dentro una bottiglia polverosissima… perché non importava l’anno di produzione. Passata di pomodoro sia in estate che d’inverno.
Aggiungeva poi il triplo concentrato, anch’esso preparato personalmente e lo diluiva con un po’ d’acqua. Visto il colore, più che triplo il concentrato doveva essere anche sestuplo. A cottura ultimata passava tutto con il “passino” e rimetteva sul fuoco per far riprendere il bollore. Aggiungeva poi nel tegame in tempi diversi, a seconda del tipo di pesce, polpo, seppie, palombo, grongo, cozze ed infine le cicale. Tostava il pane e lo “strusciava” abbondantemente con l’aglio. Se qualche commensale alla nostra tavola chiedeva il pane “normale” non metteva l’aglio, ma nel suo sguardo si poteva leggere la frase:” povero stupido/a, non sai cosa ti perdi”.
Mio nonno faceva diversi tipi di pesca ma quelli che mi affascinavano di più erano quelli con la Lampara e con la Polpara, un bastone in fondo al quale erano legati una zampa di gallina ed uno nastro bianco. Per la lampara nonno Fortunato usava come combustibile il carburo. Ricordo quando mi portava con sé in barca, quella fonte di luce fortissima che illuminava l’acqua attirando i pesci in superfice per far si che rimanessero intrappolati nella rete e catturati con la fiocina. Nelle uscite a pesca, la cosa che mi affascinava di più era il silenzio totale. Anche i remi, tenuti sotto il pelo dell’acqua, non facevano il benché minimo rumore. Fu proprio mio nonno che mi parlò dell’origine del cacciucco.
In realtà ci sono diverse versioni sull’inizio della storia di questo piatto ma, sentimentalmente parlando, l’unica è quella che mi raccontava lui. “Un guardiano del faro non poteva friggere il pesce con l’olio perché serviva ad alimentare la luce del fanale e non poteva essere sprecato per cucinare si inventò un modo di cucinare il pesce senza questo ingrediente”… ed anche oggi la ricetta non necessita di una grande quantità di olio.
Come da promessa fatta niente ricetta, niente lista degli ingredienti ma solo tanta nostalgia di mangiarlo buono come quello della mia infanzia…
Potevo ritrovarne i sapori, gli odori ed i colori soltanto in un cacciucco di un’altra nonna: Nonna Mery. Ho conosciuto questa nonna, purtroppo scomparsa poco più di un anno fa, grazie a suo nipote Andrea che insieme al fratello Francesco nel 2009 ha avuto l’idea vincente di aggiungere alla pescheria di famiglia, attiva dal 1958 nella quale già si preparava il cacciucco da asporto un ristorante, dando vita alla “Ristopescheria da Mery”.
Nel cacciucco di nonna Mery che lo chef Said prepara secondo tradizione, ho ritrovato il ricordo della cucina di mia nonna, con la consistenza, la giusta piccantezza, la morbidezza del polpo e della seppia, ed il profumo della mia infanzia. Ma ci ho ritrovato anche le avventure di pesca con mio nonno e tanti ricordi belli.
Con il mio assistente abbiamo recentemente pranzato con questo cacciucco abbinandoci, come da tradizione, un vino rosso ed esattamente l’Angra, un Pinot Nero di Nals Margreid del 2022 prodotto nella Bassa Atesina, affinato in botti di legno grandi per circa 8 mesi. Al spalato conquista per l’eleganza, l’equilibrio e la piacevole freschezza, i tannini sono delicati ed i sapori sono quelli della ciliegia, dei frutti di bosco e delle bacche selvatiche, accompagnati da leggeri sentori speziati e floreali.
Mi piace andare alla Ristopescheria non solo a mangiare ma anche ad acquistare, con grande gioia del mio tecnico, il pesce fresco ed a fare due chiacchiere con Vally, la figlia di Mery (mamma di Andrea e Francesco) e sentire anche soltanto per qualche momento l’odore del mare…