Il Professor Luigi Moio, al termine dell ‘introduzione del suo libro “Il respiro del vino” scrive: “Sarò certamente felice, perciò, se voi gentili lettori, arrivati all’ultima pagina, riporrete soddisfatti ed arricchiti questo mio libro ed un attimo dopo vi lascerete prendere dalla curiosità di stappare un’ottima bottiglia del vino che preferite per scoprire l’invitante e meraviglioso mondo di profumi che vi è racchiuso”.
Bene, Professore, io credo di averla resa estremamente felice, perché ho letto e riletto il suo libro ed ho cercato di capire le parti un po’ più difficili, approfondendo e documentandomi come non ho mai fatto con nessun testo, specialmente di genere scolastico. Naturalmente, dopo l’ultima pagina c’ è sempre stata la verifica pratica…Credo che il Respiro del vino, rappresenti per me la pillola rossa di Matrix; mi ha introdotto nella magia del vino, aiutandomi a sviluppare i miei sensi, in particolar modo l’olfatto, in modo da poter catalogare tutti i profumi e gli aromi e costruire così la mia personale biblioteca aromatica. Dopo il libro ho letto anche alcune interviste che il Professor Moio ha rilasciato ed in una di queste c’è un passo che mi ha colpito, nel quale dichiara che: “Il vino è come una scultura e l’enologo è l’artista che scava nella pietra, avendo già in mente il risultato”. Questa frase mi ha fatto riflettere su fatto che tra l’arte in tutte le sue forme ed il vino esiste un legame fortissimo, ed immediatamente mi viene in mente il ricordo del Bacco del Caravaggio, che tra l’altro è il mio pittore preferito, esposto agli Uffizi. Quando ho l’occasione di andarci mi incanto a guardare le increspature del vino nel bicchiere, perché diciamolo chiaramente, le guance rossastre e gli occhi semichiusi di Bacco denotano che qualche goccetto in più se l’è fatto e che quindi la mano non può che essere un po’ tremolante. Il vino è arte dicevamo e l’arte è entrata a far parte del mondo enologico. Basti pensare alle cantine che fanno da galleria ad opere d’arte e spesso sono arte esse stesse. A tal proposito, ho recentemente avuto la possibilità, grazie anche al mio fedele assistente, di fare addirittura due esperienze ravvicinate di connubio tra vino ed arte.
La prima, insieme ai Colleghi Sommelier AIS della Delegazione di Livorno, vicino a casa… a Bolgheri nella Cantina Campo alle Comete, nata nel 2016 come avamposto toscano di Tenute Capaldo, il gruppo della omonima famiglia già proprietaria dei Feudi di San Gregorio in Irpinia. Il luogo, già di per sé ci appare sospeso tra sogno e realtà. Il suo nome deriva dal fatto che si riteneva fosse un posto privilegiato per osservare le stelle ed ha ispirato l’illustratrice sanmarinese Nicoletta Ceccoli a dipingere il quadro che rappresenta l’azienda: un mondo incantato e sospeso dove si intersecano terra, cielo e mare e dove fluttuano farfalle, pesci, cavallucci marini ed una bimba attaccata ad un palloncino.
Nel quadro ci sono anche molti fiori di tarassaco, che in Toscana chiamiamo “Soffione”, la cui immagine, simbolo e logo dell’azienda, ha il significato di leggerezza, trasformazione e desideri realizzati. Da questo quadro prendono ispirazione le etichette dei vini prodotti, che abbiamo degustato con piacere. Siamo partiti con lo “Strabilio”, un Bolgheri bianco 2023 da uve Vermentino (70%) e Sauvignon Blanc. Affinato in acciaio e botti di rovere, ha colore giallo paglierino scarico. Al naso ha un profumo delicato di fiori bianchi, frutta bianca, agrumi ed una nota di erbe aromatiche. In bocca è piacevole la sensazione è di cremosità com un finale intenso. Siamo passati ad “Oltresogno”, un Cabernet Sauvignon di 14° che fa sei mesi di legno tra barrique e tonneaux. Il colore è un rosso rubino intenso, al naso è abbastanza complesso, si percepiscono ciliegie scure e more mature ed anche una nota speziata di pepe nero. Al palato si fanno sentire i tannini che, pur decisi, non alterano comunque l’equilibrio del vino. Abbiamo concluso con un “Torre alle Comete” del 2021, un Bolgheri Superiore DOC che prende il nome dai nuovi vigneti situati ai piedi della Torre di Donoratico a poco più di 200 metri di altitudine. L’uvaggio è composto da uve Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon. L’affinamento avviene per 18 mesi in legno.
All’aspetto è di un bel colore rosso rubino intenso, con riflessi porpora. Il suo bouquet è complesso, con sentori di amarena, note di cacao amaro e cenni di menta. All’assaggio è ben equilibrato, con tannini morbidi ed un finale lungo.
La vera sorpresa che aveva in serbo l’assistente è stata che, non appena terminata la degustazione ha impostato il navigatore della Mini su “Erbusco”…e siamo partiti alla volta della Franciacorta.
Debbo dire che questa volta il tecnico ha organizzato il viaggio veramente bene. Dopo aver lasciato i bagagli in albergo, grazie al suggerimento di una gentilissima receptionist, siamo andati a rifocillarci nel vicino Agriturismo Bertola, gestito da una famiglia che produce praticamente tutto a Km 0, compreso un ottimo Brut Metodo Classico che ha accompagnato i casoncelli di magro con crema di burro alla salvia ed il manzo all’olio di Bertola con polenta rustica ed olio del sebino. Rifocillati e riposati, la domenica ci siamo recati alla cantina che rappresenta la storia del Franciacorta: Ca’ del Bosco. Visto che ho iniziato con una citazione… proseguo. In questo luogo trovano un significato le parole di Luigi Veronelli, “Il vino è un valore reale che ci dà l’irreale”. Maurizio Zanella, il fondatore di Ca’ del Bosco, innamorato come la sottoscritta di arte e di vino ha fatto si, non tanto di allestire una collezione, quanto di ospitare nella sua campagna una serie di sculture di artisti di livello internazionale, opere che esprimono valori o concetti legati al ciclo dell’uva e alla natura.
La prima è il bellissimo Cancello del Sole, di Arnaldo Pomodoro, posto all’ingresso della tenuta, che ci ha letteralmente lasciati a bocca aperta… quando si è aperto ci è sembrato di essere entrati in un luogo diverso, scandito dai tempi della natura e delle sue stagioni. Ma le sorprese si sono susseguite con gli “Eroi di Luce” una scultura in marmo di Igor Mitoraj, una testa recisa dal sogno con l’inserto di una testa velata, che in quel contesto è proprio un frammento luminoso rispetto al verde che la circonda. A seguire “Elogio dell’Ombra” di Bruno Romeda, una struttura leggera inserita nel contesto del laghetto della tenuta e “Codice Genetico” di Rabarama, una figura raccolta in posizione fetale con la pelle a scaglie raffigurata come un puzzle di codici e linguaggi nascosti.
Sempre all’esterno della struttura è posizionata “Egg Contest” di Spirito Costa, un uovo creato con 6.000 gusci d’uovo veri, e “Gravity and Untitled Column” di Rado Kirov, due colonne d’acciaio lavorato che lo fanno apparire come mercurio, argento vivo. “The Sound of Marble”, dell’artista Tsuyoshi Tane integra suoni, luce e pietra ma anche colore in quanto il marmo particolare con il quale è realizzata, cambia colore con l’acqua della pioggia. Come non parlare dei Lupi Guardiani opera del Cracking Art Group. Il lupo, abitante antico di questa terra ne è anche il guardiano ed in un certo senso il custode.
Le sorprese continuano all’interno con il rinoceronte de “Il Peso del Tempo Sospeso” di Stefano Bombardieri, posta all’entrata dell’area vinificazione della cantina. “Water in Dripping” di Zheng Lu, posto ad abbracciare la cisterna madre, ispirato ad un poema sul viaggio dell’acqua, ma che mi piace pensare rappresenti la vitalità prorompente delle bollicine del Franciacorta. Una specie di guardiano ispirato ai numi tutelari della casa degli antichi è “Testimone” di Mimmo Paladino.
Infine, sempre all’interno, nella sala degustazione trova posto “Zolla Natura” di Bertozzi e Casoni, una specie di lente su una porzione di terra con piccoli fiori, libri, erba e sassi. Al centro di questo microcosmo è inserita la bottiglia, che racchiude in sé tutte queste sensazioni… vino, natura, arte, cultura…
Ho lasciato per ultimo “Il Dioniso” di Bruno Chersicla, un richiamo al mio Caravaggio, ma con stile ironico. L’opera esprime la spontaneità, la giovialità, la leggerezza del dio del vino, ma anche lo scherzo e l’inganno che si possono cogliere nell’espressione leggermente beffarda del viso.
Che dire della cantina e dei tesori che contiene. Al di là della cura nelle varie fasi della vendemmia, due cose in particolare mi hanno colpita: il sistema di lavaggio ed asciugatura delle uve attivo dalla vendemmia 2008 per eliminare dal grappolo microrganismi indesiderati, polveri sottili e residui dei trattamenti agricoli; un’attenzione non solo alla qualità ma anche alla salute. Una sorta di “terme degli acini”. Inoltre, la speciale macchina tappatrice, elimina l’ossigeno prima della chiusura, riducendo ulteriormente la presenza di solfiti, e permettendo un ridotto utilizzo di anidride solforosa. Ma le sorprese non finiscono qui… il viaggio in cantina continua in una specie di caveau dorato fatto di bottiglie, nel quale ci si immerge perdendo quasi l’orientamento ed avendo l’impressione di essere un lievito che lentamente scende nella bottiglia. L’assistente ha commentato definendola una location da film di James Bond!
Al termine della visita la degustazione, in un vero e proprio salotto, comodamente seduti su di un divano Chesterfield abbiamo iniziato con il Cuvée Prestige che, con un milione e mezzo di bottiglie per anno, rappresenta praticamente la metà della produzione dell’Azienda. Si tratta di un blend di varie annate di Chardonnay, pinot bianco e pinot nero che fermenta in acciaio e poi 18 mesi in bottiglia. Il colore è giallo paglierino, brillante, il perlage fine e persistente. Al naso è elegante, fruttato e floreale con note suadenti di fiori bianchi e frutta a polpa gialla, erbe aromatiche e pane appena sfornato. In bocca è piacevole e armonico, equilibrato, con un finale leggermente minerale e netti sentori di frutta esotica.
Siamo passati all’Extra Brut Vintage, uno dei migliori vini Franciacorta che abbia assaggiato. È un Millesimato che esprime la forza del Pinot Nero unito all’eleganza dello Chardonnay e del Pinot Bianco. Grazie ad un basso dosaggio e un lungo affinamento sui propri lieviti, riesce ad esaltare al meglio il suo potenziale, assicurando nel tempo grande ricchezza e complessità. Al naso presenta note di mela e pera. Al palato è secco e fruttato, con note fresche e minerali. Il finale è pulito e decisamente secco, caratterizzato da note di agrumi e nocciola. Terzo ed ultimo lo Chardonnay in purezza “Selva della Tesa”, affinato in botti di rovere dove svolge la fermentazione alcolica e dove poi rimane a maturare per 9 mesi sui lieviti. Alla vista si presenta di colore dorato vivido ed al naso complesso con sentori di pera, frutta tropicale, scorza d’agrumi e nocciole con un sottofondo speziato, in cui domina la vaniglia. Al palato è avvolgente e gustoso, rotondo, di buona struttura, con un buon equilibrio fra sapidità e acidità.
Arte e Vino… che esperienza meravigliosa!!! Non potevamo che tornarcene a casa con il bagagliaio pieno di sogni e con la promessa di un nuovo viaggio