Nella sinfonia d’autunno, quando la panzanella seppur buonissima viene avvertita come una nota stonata, è ufficialmente iniziato il periodo delle lunghe cotture lente: minestroni, vellutare, brasati e ragù…..Ora nulla vieta di portare in tavola un’insalatona, anche se con l’avvicinarsi della stagione fredda i pomodori hanno pochissimo sapore, specialmente i cuori di bue, ma ci sarà sempre qualcuno che vi dirà: “Mmh avrei preferito qualcosa di caldo”. Vanno quindi in panchina la caprese, il pane posato “strusciato” con il pomodoro e tutte quelle preparazioni veloci e buone che non ci fanno accendere i fuochi e che risolvono pranzi e cene estivi senza testare troppo la nostra voglia di cucinare.
Per adeguarmi alla stagionalità faccio scendere in campo il brodo di carne, naturalmente in versione “giorni feriali” con la sola carne di manzo e non quello delle festività, che è misto alla gallina ed al polpettone e che richiede molto più lavoro. Il brodo di carne mi fa tornare alla mente mio nonno, al quale piaceva tantissimo e quando veniva versato bello fumante nel suo piatto ci aggiungeva un po’ di vino rosso. Naturalmente adorando quest’uomo, seppur molto piccola, volli provare anch’io… e devo dire che non ne rimasi molto entusiasta. Ancora oggi però lo faccio perché questo gesto mi ricorda il passato e nonno Fortunato che mi ha insegnato ad amare la natura. Con lui nella macchia ho assaggiato gelse, corbezzole e zizzole, ho raccolto funghi ed asparagi, ho assaporato profumi che oggi mi aiutano a capire i sentori presenti nei vini. Devo riconoscere che mio nonno, nonostante non avesse conseguito titoli accademici, era un gran filosofo; infatti, diceva sempre che era passato in terza elementare perché la seconda la stavano imbiancando, ma ci donava perle di saggezza… Ogni mattina quando si svegliava si dava la sua gelatina nei capelli che altro non era se non l’olio di oliva (molto a scapito dei colletti delle sue camice bianche) e recitava: “non ti mettere in cammino se la bocca non sa di vino “… detto fatto andava al mobile della sala e beveva un bicchierino di grappa. Grappa rigorosamente fatta in casa da lui e dal mio babbo. Erano organizzatissimi, avevano le vinacce, l’alambicco ed il fornello a fiamma. Quello che veniva fuori era un distillato di 60-80 gradi alcolici. Quello che non facevano era aggiungere acqua per ridurre quei gradi; quindi, più che per bere quella grappa era adatta alla disinfettazione delle ferite.
Il “collaboratore domestico con Federico Quaglierini…il gatto e la volpe
Detto questo inizio a organizzarmi per preparare il brodo di carne mandando il mio collaboratore domestico e non solo dall’ amico macellaio Quaglierini con un biglietto dove è specificata nei minimi particolari la mia richiesta. Dato che voglio un brodo molto saporito, di secondo farò il lesso; quindi, metterò nella pentola riempita di acqua fredda, la carne con carote, sedano, cipolla e un pomodoro; niente sale. Non metto il prezzemolo perché insieme alla noce moscata sono due ingredienti che non amo.
Le volte che mi serve solo il bollito invece aggiungo la carne quando l’acqua bolle, però poi il brodo che ottengo è meno saporito. Metto la pentola sul gas a fiamma bassa e lascio sobbollire dolcemente per tre ore. Mi rilassa guardare le bolle che si muovono lentamente, specialmente ai bordi della pentola. Ogni tanto con l’utensile che si preferisce ma che è adatto al caso va tolta la schiumina che si forma in superfice. Spoilerando, alla fine della cottura filtro il brodo lo assaggio e aggiungo il sale e lo riporto a bollore per buttarci la pasta e, visto che non è Natale, non saranno i tortellini ma i tagliolini all’uovo.
Ora a questo punto ci sono due strade percorribili, anche se in tutta sincerità il risultato è lo stesso in fatto di gusto, farli in casa o comprarli nel negozio di pasta fresca. L’unica differenza è una cucina più o meno infarinata. Visto che un po’ di voglia c’è e che l’età regala il tempo, metto la farina tipo vulcano su un tappetino di silicone. Purtroppo, nella mia cucina non saprei come riporre una spianatoia di legno per carità, bella, romantica, professionale, ma ingombrante. Dentro al “cratere” metto le uova, una per ogni etto di farina e un po’ di sale e con una forchetta inizio a mescolare gli ingredienti, poi impasto con le mani fino ottenere una pallina omogenea che poi avvolgo nella pellicola e sia io che lei ci riposiamo per una mezzoretta. Per impastare uova e farina non servono corsi all’Accademia Mondiale della Cucina o essere figli e nipoti di sfogline bolognesi, è un movimento che viene spontaneo usando il palmo della mano. In seguito, taglio il panetto in diversi pezzi e tiro fuori la macchina della pasta, quella a manovella. Il procedimento mi piace tantissimo (mi ricorda quando ero piccola e la giravo per mia nonna) ma quello che non sopporto è a lavoro finito pulire i rulli della macchina perché non si possono lavare con acqua ma si adopera un pennellino per toglier i residui di impasto e di farina.
Ora il lavoro consiste nel prendere il pezzetto di impasto infarinarlo e passarlo nei rulli dandogli lo spessore sempre più sottile girando la rotellina con i numeri. Naturalmente sempre prima di passarla la pasta va ripiegata su sé stessa. Raggiunto lo spessore desiderato passiamo la striscia nell’apposito macchinario che taglia in vari formati la di pasta. I tagliolini sono pronti e li metto un po’ ad asciugare sopra un canovaccio (asciughino). Dato che il mio tecnico informatico è impegnato nel suo vero lavoro e io non essendo molto capace nelle foto da cellulare e avendo le mani infarinate aspetterò lui, almeno per il prodotto finito.
Visto che si tratta di una pasta fresca, quando li butto nel brodo bollente appena ritornano a galla sono pronti, ci vorranno circa uno/due minuti.
Per la scelta del vino da abbinare mi lascio guidare oltre che dal gusto anche dal cuore perché io adoro i vini del Piemonte, specialmente lei (si può indicare al femminile), che era quello più amato dai contadini, compagna di allegre serate in osteria:
La Barbera.
Ho acquistato una Barbera D’Alba DOC Ferrione 2020 Diego Conterno dalla mia Enoteca di fiducia ed ero indecisa fra quella o una Barbera D’Asti perché un po’ di differenza c’è, ma per il mio modestissimo parere non è così determinante come molti So.So. (Sommelier Sopraffini) sostengono. La mia scelta ha un bellissimo colore rubino intenso e bevendola, specialmente così giovane, si sentono piccoli frutti rossi more fragoline e note floreali come la viola. In bocca è molto avvolgente ed i tannini sono giusti, ma è la sua spiccata acidità che me lo fa apprezzare sia per il primo piatto che per il secondo, il lesso con le verdure. Se avanza il lesso ci si può sbizzarrire parecchio perché io lo chiamo il re degli avanzi. Vanno bene polpette, sformati, ma secondo la mia filosofia in cucina (minimo ammattimento, massimo gusto), ripassato in padella con pomodorini e cipolla è una favola!