La mia passione per il vino ha un inizio… ovvero quando ho raggiunto l’altezza sufficiente per salire su una sedia e prendere dalla tavola apparecchiata alcuni bicchieri con un po’ di fondo di vino e berlo.
Mia nonna me li toglieva subito di mano e mi urlava: “Cosa fai!!!”, ed io candidamente rispondevo: “Li sgollocciolo”.
Oltre ad un inizio, nel corso degli anni la mia passione ha avuto anche un’epifania. Regalarono al mio babbo una confezione di Rosso Antico dove, insieme al liquore, c’erano tre bottiglie disegnate da Salvator Dalì. Devo dire che le bottiglie più che piacermi mi incuriosivano per i disegni dell’autore. Aprendo così il ”cerca con Google” di allora, ovvero l’Enciclopedia, lessi tutto quello che veniva riportato su Dalì e, tra le tante notizie, mi rimase impressa una frase che diceva: “I veri intenditori non bevono vino, degustano segreti”. La frase mi colpì così tanto che, mentre tutti i ragazzi dai 18 anni in su (prima per fortuna il consumo di alcool iniziava più tardi rispetto ai tempi di oggi) bevevano il Galestro Capsula Viola od i portoghesi Lancers e Mateus, io andavo alla ricerca di etichette che potessero contenere segreti.
In seguito, ho sentito il bisogno di esplorare il mondo del vino con un po’ più di metodo e non in maniera bohemienne come avevo sempre fatto e mi sono inscritta ad un corso per diventare Sommelier. Naturalmente prima di iniziare le lezioni ho fatto tutti i buoni propositi…tipo Primo dell’anno: rimarrò umile e nelle retrovie finché non avrò imparato tanto e sarò sempre consapevole che la mia formazione avrà solo uno sbocco amatoriale quindi… “credici ma non ti ci fissare”.
Sfido chiunque però, dopo la prima lezione introduttiva e la consegna della valigetta con i bicchieri da degustazione, a non sentirsi un Sommelier a tutti gli effetti. Poi però inizia il corso, e già alla seconda lezione fra archetti, sentore di goudron, idrocarburi, foglia di pomodoro e di peperone (mai annusate ho sempre e solo raccolto i frutti dalla pianta) inizio a guardarmi intorno con aria smarrita e, mentre vago con gli occhi alla ricerca di qualcuno che non faccia di sì con la testa, incrocio lo sguardo di due giovani ragazze belle come il sole….ed è amicizia a prima vista anche se hanno la metà dei miei anni.
Il Primo livello per me scorre con un andamento simile ad un elettrocardiogramma, ci sono argomenti che capisco e mi danno entusiasmo altri che mi demotivano, in crescita invece è l’amicizia con le mie due compagne di corso. Nel secondo livello il tracciato è piatto, e non perché l’argomento sia difficile o non stimolante: “Enografia Italiana, Europea e del resto del mondo”; ma per il semplice fatto che non conosco la geografia. Ignoro a quale regione appartengono alcune città ed i confini per me sono un mistero. Confesso però che l’ho sempre studiata pochissimo e in quei momenti capivo come si erano sentiti Lucignolo e Pinocchio quando li trasformarono in ciuchini nel Paese dei Balocchi : “vi siete divertiti… ora pagate”. Ma prima di iniziare le lezioni e dopo, quando queste finivano, c’era quel momento allegro e spensierato con le ragazze che compensava tutto.
Il Terzo Livello, dedicato all’abbinamento cibo-vino è quello più interessante di tutti. Questo lo dico perché il mio diario digitale deve essere al positivo. Volendo essere un po’ più sincera certi abbinamenti, risultato di somme dovute a valori calcolati in una scheda mi stavano un po’ stretti. A volte mi veniva in mente di domandare od esporre le mie opinioni…ma lo sguardo di alcuni docenti me la faceva ricacciare indietro. Pensare che quando frequentavo l’università il Professor Gabrielli docente della cattedra di biochimica impiegò mezz’ora del tempo della sua lezione per rispondere ad una mia domanda che poi risultò utile a tutti gli studenti. La cosa però più straordinaria di questo percorso è stata preparare l’esame finale con le mie due giovani amiche. La sera cenavamo insieme poi ripasso degli argomenti e risate a non finire. Arrivare alle due-tre di notte era un gioco da ragazzi. Il massimo del divertimento era che avevamo codificato un modo per suggerirci i vitigni tramite dei mimi, i più esilaranti erano Rondinella Corvina e Corvinone…..ma anche Passerina e Pecorino.
Alla fine del corso i diplomi sono stati consegnati all’Osteria del Tasso, nella magnifica cornice di Guado al Tasso. Ho ritirato il mio diploma, talmente immeritato che a me non hanno nemmeno proposto di prendere le misure per la divisa di servizio.
Ma Guado al Tasso, l’Osteria e il Wine shop, sono diventati luoghi del cuore, anche perché qui lavora una delle giovani ragazze belle come il sole. Secondo il mio giudizio è la più brava Sommelier che io conosca e il motivo è la sua passione sconfinata per il vino che poi è diventato il suo mestiere. Per tornare a me, un po’ di metodo per degustare l’ho imparato ma per gli abbinamenti rimango sempre una “figlia dei fiori” guidata da sensazioni ed assaggi più che da schemi.
Sull’onda di questi pensieri, un po’ per ritornare sul “luogo del delitto” della consegna del diploma, ma soprattutto per ritrovare la mia amica, propongo al mio assistente un pranzo all’Osteria del Tasso.
Non faccio in tempo a dirlo che ci troviamo seduti ad un tavolo da due nel parco del ristorante in mezzo alla Tenuta di Guado al Tasso che si trova ai piedi di quello che viene definito l’Anfiteatro di Bolgheri, un luogo poetico dal fascino mediterraneo, dove territorio, clima e lavoro dell’uomo producono vini ed emozioni.
La bella giornata d’autunno ci fa immergere in una tavolozza di colori ed in un mondo magico che ha per cielo il pergolato di platano e per mare la distesa delle vigne che si perdono all’orizzonte. Con la meraviglia negli occhi prendiamo come aperitivo un bicchiere di Scalabrone, un rosato che non ha niente a che vedere con il “rosè Antinori” che si produceva quando ero ragazzina.
Questo vino, che prende il nome da un brigante che viveva anticamente nella zona, è ottenuto da un blend di uve Cabernet Sauvignon, Merlot e Syrah. Nel bicchiere è di un delicato colore rosa tenue ed al naso sprigiona profumi di ciliegia, frutti rossi ed erbe aromatiche. Al palato è fresco e sapido, supportato da un piacevole gusto fruttato persistente. Per il Sommelier: equilibrato. Per me: buono!
Per pranzo ci siamo concessi un antipasto di salumi di cinta che vengono prodotti dall’allevamento che la famiglia Antinori ha nella Macchia del Bruciato a poche centinaia di metri dall’Osteria. Sapori delicati e gustosi veramente in armonia con i profumi del territorio. Abbiamo proseguito con un abbondante filetto di chianina con contorno di verdure grigliate che abbiamo accompagnato con uno dei vini cavallo di battaglia della Tenuta: il Bruciato.
Il nome di questa etichetta, come mi suggerisce il mio assistente che tra l’altro ha da sempre bazzicato questi luoghi, deriva da un bosco che nel ‘700 venne totalmente bruciato dagli abitanti della zona per protestare contro i Della Gherardesca, a quei tempi signori di Bolgheri, che vietavano agli agricoltori la caccia al suo interno. Abbiamo avuto la possibilità di assaggiare in anteprima l’annata 2021, un blend leggermente diverso, infatti al Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah e Cabernet Franc è stato aggiunto il Petit Verdot. Nel bicchiere si presenta del consueto colore rosso rubino intenso. Al naso si apprezzano note di piccoli frutti rossi maturi, spezie dolci e tabacco. Al palato è ben strutturato, avvolgente e con un piacevole retrogusto fruttato che lo rende piacevole nel bere e persiste al palato. A mio avviso un salto di qualità rispetto alle pur ottime precedenti annate. Giudizio di Alessandra Buono+!
Anche Guado al Tasso merita un posto nel quaderno dei luoghi del cuore per i ricordi, le emozioni lo stupore che la sua magia mi regala ogni volta.